martedì 13 dicembre 2011

Dolls

 *** Flashback ***

Doruzu (ドールズ、Dolls). Soggetto, regia e montaggio: Kitano Takeshi. Scenografia:  Isoda Norihiro. Fotografia: Yanagijima Katsumi. Costumi: YamamotoYōji. Colonna sonora: Joe Hisaishi. Interpreti e personaggi principali: Kanno Miho (Sawako); Nishijima Hidetoshi (Matsumoto); Mihashi Tatsuja (Hiro); Daike Yūko (la giovane Ryōko); Matsubara Chieko (Ryōko, la donna del parco); Fukada Kyōko (Haruna); Takeshige Tsutomu Produzione: Bandai Visual Company, Office Kitano, TV Tokyo, Tokyo FM Broadcasting Company. Durata: 114'. Uscita nelle sale giapponesi: 12 ottobre 2002.
Link: Mark Schilling (Japan Times) - Chris MaGee (Toronto J-Film PowWow) - Luigi Garella (Gli spietati) - Asian Movie Web - Giovanni Lancelotti (Script)
PIA: Commenti: 3,5/5   All'uscita delle sale: 68/100
Punteggio ★★★1/2   

Tre storie d’amore e di morte. Il giovane Matsumoto cede alle insistenze dei genitori, decide di sposare la figlia di un superiore e lascia la fidanzata Sawako, che tenta il suicidio ed è ricoverata in una clinica psichiatrica. Informato dell’accaduto, Matsumoto abbandona la cerimonia di nozze e ritorna da Sawako: i due, uniti da una lunga fune rossa (che nella mitologia asiatica e in particolare giapponese rappresenta il legame del destino fra due persone, cioè la natura di anime gemelle), vagabondano senza meta, fino a trovare, insieme, la morte. Lo yakuza Hiro, ormai vecchio e malato, ricorda con nostalgia il tempo passato, quando lavorava come operaio e, per rincorrere denaro e potere, lasciò Ryōko, la ragazza che ogni giorno gli portava l' obento al parco. Hiro ritrova Ryōko sulla stessa panchina dei loro incontri giovanili, dove lei lo ha aspettato per trent’anni, ma viene ucciso da una gang rivale. Nakui è un fanatico groupie della pop star Haruna: quando la cantante, sfigurata da un incidente automobilistico, si ritira dalle scene e rifiuta ogni contatto per non mostrare il viso sfregiato, egli si acceca per poterla avvicinare. Nakui muore, investito da un’auto, dopo aver incontrato Haruna.
Kitano mette in scena una triplice love story intrisa di egoismo, dominata dall’inevitabilità del rimorso e cosmicamente pessimista. Un film crudele e violento, dove non sono le pallottole a uccidere, ma il fato; allo stesso tempo un film poetico, girato con un linguaggio complesso e maturo.
Temi e forme dell’opera sono apertamente dichiarati già nel prologo, affidato alle marionette bunraku del teatro nazionale di Tokyo: manovrata da burattinai dall’espressione impassibile o nascosta, la cortigiana Umegawa[1] propone all’amante Chubei di fuggire con lei, implorandolo inutilmente di rinunziare al folle gesto d’amore che gli costerà la condanna a morte. L’amore genera dolore e nasconde la morte, elemento “inevitabile” nel cinema di Kitano, morte quale approdo delle scorciatoie per il successo, percorse da chi dimentica l’avvertimento di Umegawa: “onore, gloria e fortuna sono soltanto effimeri granelli di sabbia, che diventano polvere sulle strade per Yamato”. 
Il tema fondamentale di Dolls è appunto quello dell’incapacità umana, e soprattutto maschile, di decidere secondo le ragioni del sentimento, e non per interesse: non sceglie per amore Matsumoto, così come – prima di lui – lo yakuza Hiro. Ed egualmente incapace di determinarsi secondo libertà appare l’universo femminile, confinato nella dipendenza dalle vicende dei corrispondenti maschili, ma in certo modo da questi avulso (Sawako e Ryōko non riconoscono gli amati: i loro gesti, disperati e definitivi, sembrano così perdere significato e diventare narcisistici).
All’inevitabile infelicità cui l’umanità è destinata Kitano contrappone il ritmico fluire delle stagioni e la bellezza dei loro differenti colori[2]. La serenità della natura enfatizza vacuità e cattiveria dell’agire umano (in alcuni momenti può venire alla mente il Kim Ki Duk di “Primavera, Estate, Autunno, Inverno … e ancora primavera”) ed attenua il tono mortifero di Dolls, in un riuscito “tentativo cromoterapico”[3]. Analoga la funzione degli splendidi costumi ideati da YamamotoYōji e della colonna sonora di Joe Hisaishi, all’ultimo episodio della collaborazione iniziata nel 1991 con “Il silenzio del mare”.  
Il ritmo del film è sincopato, come spesso avviene nel cinema di Kitano. Prevalgono macchina fissa e long takes soprattutto nelle parti dedicate agli erranti Matsumoto e Sawako, che si muovono lenti, gravemente, schiacciati da rimorso e follia; non mancano però momenti nei quali le inquadrature si moltiplicano e s’inseguono serrate, muovendo indietro e avanti nel tempo[4]. È il caso del flashback che spiega la decisione di Matsumoto[5] e di quello dedicato al tentato di suicidio di Sawako[6]. Tipicamente kitaniani, ancora, i momenti in cui “un’intera situazione viene condensata e ‘congelata’ in una o due inquadrature con un effetto di sintesi e di intensità stupefacente”[7] e il gioco infantile a rappresentare la felicità di coppia[8].
Kitano non ha mai nascosto che avrebbe dovuto raccontare soltanto dei vagabondi erranti e di aver aggiunto gli altri due episodi perché il film raggiungesse una durata commerciale: di qui una certa disarmonia fra le tre storie di Dolls[9]. La tripartizione nulla aggiunge al senso dell’opera (siamo in un territorio lontano, ad esempio, dalle motivazioni narrative della composizione episodica di Three Times di Hou Hsiao-Hsien) e, forse, ne pregiudica equilibrio e fascinazione[10]. A dispetto di ciò, il film dimostra ancora una volta la profondità, tematica e cinematografica, di Kitano Takeshi. [Gian Piero Chieppa]


[1] L’opera rappresentata è Meido no hikyaku (I messi dell’inferno), scritta nel 1711 da Chikamatsu Monzaemon, una delle figure più importanti del teatro giapponese di tutti i tempi.
[2] Piuttosto feroce l’accusa di “artificiosità” ai “paesaggi da cartolina” riservata da T. Kezich all’uscita del film nelle sale italiane (Dolls, Sbadigli orientali, in Il Corriere della Sera, 2 novembre 2002).
[3] L. Leone, Takeshi Kitano, in AA.VV., Storia del cinema giapponese dal 1970 al 2010, a cura di E. Azzano – R. Reale – R. Rosati, 2010, pag. 112.
[4] F. Tassi, Cinema cubista per pupazzi umani, Cineforum n. 421, pag. 12 - 16.
[5] Veloce alternanza di primi piani sui genitori, inquadrati ora singolarmente ora insieme, che incalzano Matsumoto perchè acconsenta “alla richiesta del presidente”, “un’occasione che capita una sola volta nella vita” (le istituzioni presentano il conto all’individuo); la debole resistenza di Matsumoto (le ragioni del cuore cedono agli imperativi dell’interesse); la futura sposa ed i suoceri in un sorridente flashforward (l’aspetto rassicurante del potere in carica); ancora un primo piano della madre; ulteriore flashback, più remoto, questa volta su Sawako, felice al tempo del primo appuntamento con Matsumoto; primo piano finale, ancora sulla madre.
[6] Il montaggio alterna soggettività ed oggettività, mescola l’ordine cronologico di primo appuntamento, tentato suicidio e cerimonia nuziale, rincorre le ragioni della narrazione e non la concatenazione spazio–temporale degli eventi. La questione è approfondita in A. Gerow, Kitano Takeshi, 2007, pag. 193.
[7] V. Bucchieri, Takeshi Kitano, 2000, pag. 21. Moltissimi gli esempi di tale capacità in Dolls: taglienti, ad esempio, i pochi quadri dedicati alla rimozione dei mobili dalla camera di Matsumoto, terminata la quale il padre cerca di placare le lacrime della madre dicendole “è stata una sua scelta”. Rimozione del figlio, della vergogna e di molto altro ancora in una sola battuta: con la scena visivamente colma dello spazio vuoto lasciato dal trasloco.
[8] Lo scherzo di Matsumoto nel flashback che ricorda il tempo felice del primo appuntamento con Sawako fa tornare alla mente il Beat Takeshi di Hana-bi, che “indovina” le carte della moglie vedendole nello specchietto retrovisore dell’auto.
[9] Sono però molto interessanti i raccordi sonori inseriti fra le diverse storie. Non tanto la suoneria del cellulare di Matsumoto, che anticipa la hit virale di Haruna, ma soprattutto il suono sordo e ritmato della corda con la quale Matsumoto lega Sawako alla propria auto, identico al rumore della porta dell’ascensore che urta un cadavere nell’episodio di Hiro (con le diverse sorgenti dapprima confinate fuori campo e poi manifestate allo spettatore con un movimento laterale della macchia da presa).
[10] C. Abe, Beat Takeshi vs. Takeshi Kitano, 2005, pag. 258.

2 commenti:

  1. Kitano è un autore che mi piace tantissimo, e dai trailer questo Dolls mi aveva affascinato molto.
    Purtroppo, non ho mai avuto l'occasione di vederlo, ma rimedierò.

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