Tōkyō pureibōi kurabu (東京プレイボーイクラブ, Tokyo Playboy Club). Regia e sceneggiatura: Okuda Yōsuke. Fotografia: Imai Takahiro. Interpreti
e personaggi: Usuda Asami (Eriko), Ōmori Nao (Katsutoshi), Katakura Waki (Mari-chan), Mitsuishi Ken
(Senkichi), Fuchikami Yasushi (Takahiro). Produzione:
Kai Naoki per Midship / Style Jam. Durata:
92’. Uscita prevista nelle sale
giapponesi: 4 febbraio 2012. Girato in HDCam.
Link: Sito ufficiale - Chris MaGee (J-Film-Pow-Wow)
Punteggio ★★★1/2
Giovane cineasta emergente
dell’ultimo cinema giapponese, Okuda Yōsuke ha già avuto modo di attirare
l’attenzione internazionale sul proprio lavoro grazie alla trilogia Hot as Hell (il cui terzo episodio Hot as Hell: The Deadbeat Match abbiamo
già avuto modo di recensire). Il maggior budget a disposizione e la possibilità
di ricorrere ad un cast già di un certo prestigio (la giovane modella Usuda
Asami, Ōmori Nao che fu Ichi in Ichi the
Killer, e Mitsuishi Ken già visto in Noriko’s Dinner Table, Nightmare Detective 2
e Himizu) non hanno modificato
d’alcunché il modo di intendere il
proprio lavoro da parte del regista. Il modello di riferimento è sempre quello
del cinema di Tarantino (cui l’ultimo episodio della già citata trilogia era
esplicitamente dedicato), in una logica squisitamente postmoderna (come
programmaticamente testimonia la prima inquadratura del film: quel dettaglio
della fiamma di un accendino e di una sigaretta che è divenuto un vero e
proprio marchio identificativo di un certo tipo di cinema, almeno da Cuore selvaggio in poi). Come i precedenti
suoi film, inoltre, anche Tokyo Playboy
Club è ambientato del mondo della malavita, intorno a personaggi di
perdenti cronici, che ruotano intorno ad un locale di prostituzione in cui mai
si vede un cliente. I due protagonisti, il quasi psicopatico Katsutoshi, e la
giovane lettrice dei romanzi di Osamu Dazai, Eriko, ci finiscono, perché, come
loro stessi affermano, non hanno un posto migliore dove andare.
L’intreccio del film ruota sulla
morte di un boss yakuza e sul tentativo dei suoi uomini di vendicarlo, fatto
che coinvolge insieme a Katsutoshi e Eriko, anche il proprietario del Tokyo
playboy club, Senkichi. Come già accadeva in precedenza, Okuda mescola
personaggi segnati dal mal di vivere a delle figurine da fumetto (ad esempio i
due chinpira), e li trascina tutti in
un vortice di situazioni dal carattere tragicomico (che ricordano un po’ il
primo Sabu). La già citata dimensione postmoderna del film è evidente dal
trattamento spesso ironico di situazioni di per sé drammatiche. Si pensi al
rinvenimento del cadavere del boss yakuza da parte di Senkichi e Katsutoshi,
che trovano il modo di divertirsi davanti alla fotografia di un documento della
vittima, e al grembiulino che (insieme a dei guanti di gomma, una mascherina e
degli occhiali da saldatore) Katsutoshi indossa prima di fare a pezzi il
cadavere (cosa che avverrà rigorosamente
fuoricampo). O ancora si veda la scena in cui sono gettati nel fiume i
sacchetti contenenti le diverse parti del corpo del boss, nel corso della quale
Senkichi si preoccupa soprattutto del fatto che la sua preziosa mazza da golf
non finisca in acqua.
La parte finale del film vira su
un tono più drammatico, come in particolare testimonia il pre-epilogo con
Katsutoshi ed Eriko che in auto esprimono l’un l’altro tutto il loro disagio
esistenziale, quasi nella forma di un anti-climax (a questo punto della storia
ci si aspetterebbe più azione e ritmo). Altri aspetti caratterizzanti il lavoro
sono l’uso insistito di canzoni pop (come quella giapponese che si avvia
casualmente quando con un radioregistratore anni Ottanta, Eriko colpisce alla
testa uno dei due chinpira) o quella
che ad alto volume accompagna le ultime immagini del film, e una certa
disinvoltura sul piano stilistico: dall’uso dei jump cut nelle scene di
conversazione delle hostess del club, a quello da Bmovie dello zoom e dei primi
piani nella scena del confronto definitivo fra Katsutoshi e i due assassini,
sino all’originale inquadratura in profondità di campo che mostra
sull’avan-piano il volto di Eriko coi suoi auricolari mentre è immersa nella
lettura di un romanzo, e sullo sfondo il fidanzato Takehiro, che si agita
facendo le valige, mentre la ragazza nemmeno si accorge della sua presenza.
Presentato in anteprima mondiale al festival di Pusan e vincitore dello Student
Jury Prize del Tokyo FILMeX (il festival voluto da Kitano Takeshi), Tokyo Playboy Club fa di Okuda Yōsuke
uno dei cineasti giapponesi che varrà la pena di seguire nei prossimi anni.
[Dario Tomasi]
visto al FilmEx, sai che a me proprio non è piaciuto....
RispondiEliminamatteoB
Ma non ti è piaciuto il film, o è quel tipo di film a non piacerti? Io sono di una vecchia generazione cinefila... in potenza il cinema mi piace tutto e poi tocca a ogni singolo film sapersela cavare o meno nell'ambito del genere, tendenza, dimensione, in una parola dello sfondo in cui si muove.
RispondiEliminacerto il cinema è sempre bello, ma non so ho trovato la prima parte un po' fuori ritmo ( il mio ) è stiracciata...vabbè sarà stata anche la mia stanchezza....
RispondiEliminamatteoB